INTERVISTA NUMERO 3
ANDREA VIANELLO
La mia amicizia con Andrea Vianello nasce ormai più di una decina di anni fa nell’aula bunker di Mestre, dove erano state trasferite alcune udienze del processo sulla strage di Capaci per sentire alcuni pentiti di mafia. Io ero lì come corrispondente di Rds, Vianello come inviato del Giornale Radio Rai. Legammo subito, per via di alcune sensibilità giornalistiche comuni: l’amore per la radio e anche una certa pignoleria. Inoltre mi aveva visto condurre il tg di Teleregione e gli era piaciuta la mia conduzione; insomma, non era un giornalista “arroccato” nel suo mondo, ma si guardava intorno, anche nel pianeta delle tv locali. Un’amicizia continuata in questi anni, nonostante i nostri impegni lavorativi, e con un suo sviluppo professionale che lo ha portato, negli anni, alla televisione, e ora alla conduzione di Mi manda Raitre.
Andrea, tutti dicono che la radio è una grande palestra. Saresti diventato un conduttore televisivo di punta, se non avessi condotto per anni una trasmissione difficile come “Radio anch’io”?
Non so se sono un conduttore televisivo di punta o "de tacco" come si dice a Roma, so per certo che Radio Anch' io per me è stato un passaggio di carriera fondamentale, sia per il prestigio che per la complessità della trasmissione, che mi ha costretto a confrontarmi con dibattiti difficili e con interviste delicate. In più ho dovuto fronteggiare una quotidiana mattutina, autentica macchina tritasassi vista la necessità di star sempre sulla notizia. Poi la vita è fatta di svolte imprevedibili e coincidenze cruciali, in questo caso il passaggio del mio direttore del GR Rai Paolo Ruffini a Rai Tre ha posto le basi per un mio passaggio in TV.
Antonio Lubrano, Luigi Necco, Piero Marrazzo: ora la trasmissione per eccellenza dedicata alla difesa dei consumatori è nelle tue mani. Sei giustamente partito da un profilo basso per poi adattare alle tue corde una macchina collaudata e funzionante da anni. Ti ci trovi bene?
Più che bene, mi ci trovo benissimo. Mi appassiona il lavoro di organizzazione del programma, dove ho la fortuna di lavorare con autori bravissimi come Stefano Coletta e Sara Veneto, mi diverte molto la diretta in studio. È una trasmissione che permette al conduttore di instaurare un forte rapporto umano con i cittadini "denuncianti", protagonisti di storie dagli umori diversi, a volte surreali a volte purtroppo tragiche; di instaurare delle autentiche inchieste per far risaltare responsabilità o denunciare ingiustizie: e ogni tanto anche di dare al nostro gruppo di lavoro la soddisfazione di riuscire a vincere concretamente importanti battaglie. In questi ultimi giorni dopo una nostra puntata abbiamo obbligato una Asl calabrese a rimborsare una signora che ha contratto il virus HIV tramite una trasfusione e a cui una sentenza da anni aveva dato ragione senza però che la struttura sanitaria si decidesse a elargire l'indennizzo.
Enigma è l’altro tuo cavallo di battaglia televisivo, sicuramente più tuo di Mi manda Raitre anche nella sua ideazione. Vicende storiche importanti, complicate, difficili, trattate alla presenza di testimoni, ma con il taglio del racconto giornalistico senza la contrapposizione diretta: una formula che a me piace molto, perché permette di farsi un’idea senza la tensione verbale provocata da chi troppo spesso in tv si parla addosso. Come è nata l’idea di Enigma?
Enigma, nome che nasce dal codice segreto di comunicazione dei nazisti che permise per anni al Terzo Reich il predominio sui mari finché gli alleati non riuscirono a scoprirne la chiave e decriptarlo, è un programma nato in sintonia di idee. Quando Ruffini passò a Rai Tre mi chiese se avevo progetti nel cassetto, e io gli proposi una trasmissione che indagasse sui misteri della storia; in rete trovò un analogo progetto su idea del vicedirettore Pasquale D' Alessandro. Unì le due suggestioni e inventammo il format di Enigma, che ora proseguirà senza di me ma con alla guida un prestigioso collega come Corrado Augias.
Per anni tu sei stato uno dei punti di forza del Giornale Radio Rai, prima alla redazione cronaca, nella quale hai seguito diversi eventi di rilievo, successivamente ereditando Radio anch’io da Giancarlo Santalmassi, anche qui direi un’eredità non facile. L’esperienza della radio, e in particolare di Radiorai, che cosa ti ha insegnato, al di là del non perdersi in nessuna situazione?
È quasi un luogo comune dire che la radio è maestra di professione, ma è vero, sacrosanto. È anche maestra di vita, o almeno lo è stata nel mio caso, perché le esperienze umane oltre che professionali accumulate nei miei anni di inviato di cronaca e in quelli successivi di conduttore di fili diretti straordinari hanno arricchito la mia persona in modo incomparabile. E poi aver incontrato nella mia strada a Radio Rai direttori come Livio Zanetti, Paolo Ruffini, virtuosi del microfono come Giancarlo Santalmassi, vicedirettori come Andrea Valentini, ora mio capostruttura e mio grande amico, mi ha agevolato la crescita. Certo, tecnicamente la radio ti insegna a non perderti mai, come dicevi tu, a cavartela sempre e comunque, perché di fronte all' abisso del silenzio, impari che è possibile persino camminare sull' aria. E ti fa capire la forza evocativa e irresistibile della parola.
Torneresti a fare la radio?
Io dico sempre che un giornalista della RAI è per statuto radio-televisivo. Io sono relativamente giovane, 44 anni, prima della pensione se tutto va bene ho più di vent'anni, e vedrò dove mi porterà il vento e la sorte, considerando sempre che la radio la sento come casa mia, e un ritorno a casa prima o poi lo fanno anche i più spericolati viaggiatori.
Qual è un settore del quale ti saresti voluto occupare giornalisticamente, ma non te ne è mai capitata l’occasione?
Non perché suggestionato dal momento in cui ti sto rispondendo, il giorno dell'inizio del Conclave, ma da sempre penso che mi piacerebbe molto fare il vaticanista, mestiere tutto da imparare ma affascinante. E poi, anche se la mia famiglia si opporrebbe, il corrispondente da Gerusalemme.
Noi, con i cellulari, i computer e internet abbiamo vissuto il cambiamento epocale tecnologico nella comunicazione e nelle comunicazioni; la nostra generazione è forse l’ultima che ha usato la macchina per scrivere, i telefoni fissi, i fax quando sono arrivati. Vorrei una tua riflessione su questo cambiamento, i pro e i contro.
Censurerei l' ennesimo elogio della buona vecchia macchina da scrivere perché sa di retorico. Credo che i pro siano in realtà molti più dei contro: il telefonino per esempio ha permesso ai radiofonici di poter trasmettere sempre e ovunque e raccontare la realtà in presa diretta, vera prerogativa del mezzo radiofonico. E il computer e internet sono strumenti fenomenali di lavoro. Magari c'è un po' meno di romanticismo, le corse avventurose col tecnico per cercare un telefono fisso con cui riversare il servizio o l' intervista, ma i tempi andati tendiamo sempre a considerarli più belli del presente anche quando non è così.
Parliamo per un attimo dell’Andrea Vianello privato: quali sono i tuoi hobby, interessi? Il lavoro ti lascia il tempo per coltivarli?
Hobby pochi, perché con moglie e tre figli piccoli (la "grande" ha quattro anni e mezzo, la piccola dieci mesi, e in mezzo c’è un bimbo di tre anni), oltre a un bel cagnone, i miei spazi privati vengono giustamente succhiati dalla famiglia. Cerco però di ritagliarmi lo spazio per leggere, una vera mania da lettore onnivoro, per guardare film, telefilm e calcio in tv, e per giocare ogni tanto a tennis.
Per chiudere, invertiamo i ruoli e fammi una domanda tu.
Davide, lo diciamo da anni: ma quando riusciremo a lavorare assieme?
Dipendesse da noi...anche oggi stesso! Speriamo che succeda presto… intanto grazie per l’intervista.