INTERVISTA NUMERO 23:

EDOARDO MILANI

Il mio "cordone ombelicale" con Radio Capodistria, nonostante gli ultimi screzi, è molto profondo. Oggi vi presento un altro conduttore dell'emittente slovena, e anche lui, come Graziano D'Andrea, è una persona poliedrica, con molte idee e molte attività legate alla musica e alla radio: Edoardo Milani.

Edoardo, tu sei un veterano di…qualsiasi cosa, radio, discoteca, produzioni discografiche, e sei anche webmaster. Con che cosa hai iniziato e perché, e poi com’è venuto fuori il resto?

Veramente non so con che cosa ho iniziato… La musica sicuramente visto che a
sette anni il mio pane quotidiano era la tastiera del pianoforte ma anche la radio transistor di nascosto dopo “Carosello”… Tutto quello che è venuto dopo è stata la logica conseguenza…

 

Tu hai una grande passione, come me, del resto, per i “frammenti di storia”, che siano dischi, video, audio, vecchie trasmissioni. Che differenza c’è secondo te fra il riflusso modaiolo, che spesso vediamo in tv e anche in rete, e invece la reale voglia e necessità di recuperare quelli che io amo chiamare i pezzi della nostra memoria?

Direi che la cosa più importante è il criterio con il quale viene scelto e proposto il “pezzo”.  A volte si ricicla qualcosa per puri scopi commerciali (vedi certe radio che dopo l’apparizione di Sandy Marton all’isola dei famosi ricominciano a passare i suoi vecchi dischi), altre volte invece si presentano utili proposte didattiche (soprattutto nelle ore notturne del palinsesto Rai TV). In ogni caso a prescindere dalla qualità delle proposte c’è poca differenza visto che la maggior parte del pubblico non ha memoria.

 

Apparteniamo a una generazione che ha avuto la fortuna di entrare nel mondo radiofonico quando questo, esso stesso ancora giovane, permetteva ai giovanissimi di sbagliare, sperimentare, formarsi, inventarsi radiofonicamente. Oggi è molto diverso…

Sicuramente diverso dal periodo dei pionieri dell’FM ma direi altrettanto affascinante e pieno di occasioni. A 11 anni entrai per la prima volta in uno studio radiofonico e non dimenticherò mai più quel giorno, l’odore della bachelite, gli A77 che giravano etc… Le apparecchiature erano cose inarrivabili per un ragazzino comune mortale, facevamo i nostri provini con un gelosino e il microfono sul mangiadischi. Oggi con un compiuterino ti puoi costruire una trasmissione intera con la stessa qualità del professionista. Per i giovani ci sono tantissime occasioni per cominciare, dall’Università che ogni anno forma nuovi comunicatori, alle webradio, al multimedia. C’è tanto di più ma forse un po’ meno ingegno, creatività e vera voglia di divertirsi come allora.

 

Di quegli anni a me è rimasto l’entusiasmo e anche l’emozione della diretta, naturalmente un’emozione ben diversa da quella di allora. A te, dei tuoi primi tempi, che cosa è rimasto?

Beh penso che tutti noi abbiamo dei bei ricordi legati alle emozioni degli inizi, la prima volta davanti al microfono con la luce rossa che sta per accendersi, il primo mix in discoteca etc… Per quanto mi riguarda quello che ricordo sempre con piacere è la colonna sonora fatta da un periodo di qualità ineguagliabile sia per la discomusic che per il resto della produzione musicale in genere. 

 

Come è nato il tuo approccio con Radio e Tv Capodistria, e come poi si è sviluppato?

Un collega impegnato a Capodistria con il quale avevo lavorato in una gloriosa privata andava a fare l’operatore in RAI e così mi suggerì di mandare un provino. Mandai la famosa cassetta pensando di aver buttato un pomeriggio nel prepararla invece mi chiamarono. Il primo colloquio fu con Gianfranco Silijan e Bruna Alessio, qualche tempo dopo arrivò il primo affiancamento con Manuela Tedesco. Correva l’anno 1989. Poi la collaborazione è continuata negli anni e nonostante le mie trasferte ho cercato sempre di mantenerla al punto che è andata avanti ininterrotta fino ad oggi. Alcune trasmissioni: Discoteca Sound 1992, Covermania 1993, Radio Zapping (il primo blob radiofonico in assoluto) 1995, Internet Party (gruppi e musica rigorosamente dalla rete) 1997, Zampe di elefante (Lunge e chillout) 2000 e veramente tantissime altre per arrivare a quel laboratorio sulla risata di quest’estate che era Scacciapensieri. Come vedi, trasmissioni molto innovative all’avanguardia per l’epoca che ho sempre realizzato con totale autonomia di programma e massima libertà concessami dalla dirigenza. Capodistria è un ambiente di lavoro sereno che raramente ho trovato altrove, speriamo di poter continuare a lungo.

 

Parliamo di un’altra tua sfaccettatura, quella del music-maker. Come si produce un riempi-pista? So che non c’è una ricetta; ti chiedo come fai tu, a quali sensibilità (tue o insieme tue e di altri) ti affidi.

Fondamentalmente lavoro da solo o con l’aiuto di qualche strumentista e vocalist. Ho le idee molto chiare nella testa, perciò quando decido di attuare un progetto tutto quello che faccio è concretizzare l’idea dal punto di vista tecnico. Soprattutto per le sonorità, l’operazione è tutt’altro che semplice ed è proprio per questo che curo personalmente la creazione dei timbri e gli arrangiamenti per cercare di avvicinarmi il più possibile a ciò che avevo concepito. Qualche volta può accadere che in fase di lavorazione succeda qualcosa di magico e diverso che dirotti il percorso in un’altra direzione. Poi se vuoi sapere come nascono le idee non credo di riuscire a spiegartelo. Deve essere una combinazione di stati emotivi, stimoli musicali, sensazioni e l’impulso che ti fa credere in quello che vuoi proporre e ti da la forza per farlo.

 

Ti ho sentito condurre un programma completamente in lingua inglese, “Spaghettidance”, tra l’altro un’idea interessante, perché è un po’ la storia, sonora e non cronologica, di un punto di forza musicale italiano, ossia proprio la produzione dance. Ricordo benissimo nel 1982, in una discoteca francese di Angers, si chiamava “Number One”, che il DJ mandava spessissimo My desire dei vicentini Firefly, e io, nel mese dei mondiali di Spagna, sentivo aria di casa. Ma torniamo a noi; volevo chiederti se condurre in inglese ha qualche difficoltà tecnica in più, o se basta “pensare in inglese”.

Il mio inglese (per dirla alla british appunto) è abbastanza “poor” però risulta molto divertente al punto che il programma era seguito e parecchie persone da tutto il mondo hanno mandato i loro complimenti. Anche il timbro di voce stranamente cambiava. Per conferire una certa credibilità ovviamente ho dovuto scrivere i testi però, considerato che c’è chi lo fa nella propria lingua madre, non mi sembra poi così grave. L’obiettivo di quel progetto è quello di far conoscere il prodotto italiano il più possibile all’estero (ecco perché l’inglese diventa necessario), un’idea importante che continuo a coltivare e che spero di far crescere. Il genio e la creatività dei musicisti italiani è sempre sorprendente ma ahimè spesso snobbati proprio nella nazione d’origine, è un lungo discorso che magari svilupperemo in un’altra occasione…

 

C’è qualcosa che ti piacerebbe fare e non ne hai mai avuto l’occasione, nei tuoi ambiti artistici o in altri settori?

Nel campo professionale ho tanti progetti e l’entusiasmo di sempre. Nel privato, tante passione come il modernariato l’arte contemporanea oppure le lingue (ho cominciato a studiare anche il giapponese). Quello che desidero è affrontare tutto nella maniera più serena possibile senza dover far nessun torto ad altri o subire pressioni, è la maniera più vantaggiosa per rendere al meglio. Se si creeranno le energie e le condizioni giuste per farlo, prima o poi tutti questi progetti arriveranno in porto di conseguenza.

 

Per l’ultima domanda, come sempre, i ruoli si invertono: me la devi fare tu…

Caro Davide, quando andiamo a mangiarci una pizza?

Quando vuoi, Eddy, Basta che passi tu per Roma.

 

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