INTERVISTA NUMERO 9:

DOMENICO BASSO

1984: da pochi mesi sono ad Antenna Tre Veneto, e un “ribaltone interno” voluto dall’editore Renato Bernardi porta alla direzione Domenico Basso, già noto come conduttore del seguitissimo tg locale. Per qualche anno lavoreremo insieme e io imparerò a lavorare in televisione soprattutto da lui e da Tino Giacomin, insieme con altri colleghi, operatori e tecnici; poi erediterò da Domenico l’ambita conduzione del tg serale, e una passione per quello che amo chiamare il “giornale per immagini”. Anni belli, importanti, gavetta intensa, entusiasmo, insieme con una certa notorietà a livello locale: una bella esperienza, che ci manca, forse più a Domenico passato alla carta stampata, mentre io sono rimasto al giornalismo parlato, anche se sono tornato al primo amore di fatto mai completamente abbandonato, cioè la radio.

 

Domenico, tu sei stato sicuramente uno dei pionieri del giornalismo televisivo locale, non solo in Veneto: molti di noi hanno cominciato a fare sul serio proprio in quei tg che parlavano dell’inquilino della porta accanto, ma lo facevano professionalmente. Rimpiangi quel periodo?

“Si. E molto. Mi guardo spesso alle spalle e ricordo quegli anni come i migliori, i più entusiasmanti. C’era passione, c’era la voglia di fare e di dimostrare che anche con pochi mezzi si possono ottenere ottimi risultati”

Dopo di noi, cioè dopo la nostra generazione e quella successiva, il peggioramento qualitativo dei tg locali è stato notevole: giornalisti, ma anche operatori e montatori si perdevano per strada o se ne andavano comunque, intanto i piccoli editori, con il mito di Berlusconi ma non con la sua capacità imprenditoriale, cercavano agganci politici dal potente di turno dimostrando in realtà di essere “piccoli” in tutti i sensi. E il ricambio generazionale non era benevolo in termini di qualità…

“Credo che una delle doti principali che ci ha accompagnato in quegli anni sia stata l’umiltà. Sapevamo che davanti a noi c’erano i professionisti e in quegli anni parlare di giornalisti professionisti significava parlare dei colleghi dei quotidiani. In quegli anni ordine dei giornalisti e sindacato ci consideravano di serie B. Io che ho diretto i tigì me ne sono andato dalla tivù perché il lavoro che avevo fatto non veniva riconosciuto come sufficiente a diventare un professionista. Ho dovuto ricominciare tutto da capo. Poi le cose sono cambiate, Ordine e Sindacato hanno capito, forse anche per convenienza, che quello delle tivù non era un campionato giornalisti di serie B. Con questo voglio dire che per chi è venuto dopo di noi è stato tutto più facile. Certi sacrifici non ci sono stati e in tanti si sono seduti”

Intanto, la televisione cambiava i suoi parametri, prima con la nascita dei network e poi con le tv satellitari. In quel momento, secondo me, le tv locali non hanno colto quello che oggi cercano di fare con scarsi risultati le tv di quartiere: per salvarsi avrebbero dovuto specializzarsi maggiormente nel locale, imitando la professionalità delle grandi tv nella confezione, ma trattando sempre di più questioni molto vicine al territorio nel quale si trovavano. Altrimenti, perché il telespettatore avrebbe dovuto sceglierle? Condividi la mia analisi?

“La nostra tivù era il territorio. Lo esploravamo e lo raccontavamo. Diciamo che potevamo diventare grandi se fossimo stati supportati dal nostro Ordine, dai sindacati, dalla classe politica e non da ultimo dagli editori. Sì, gli editori non hanno creduto fino in fondo a quello che avevano in mano”

Molti del nostro gruppo di lavoro – o comunque del mio dopo il tuo passaggio alla carta stampata – hanno ottenuto ottimi risultati professionali, a significare che la stoffa c’era: esclusi i presenti, che non si possono lamentare, eclatanti i casi di Maria Pia Zorzi, Curzio Pettenò, Valentina Martelli(tutti in Rai), Alessandro Ongarato(Mediaset), ci sono buoni professionisti ancora nelle tv locali, come Alessandra Mercanzin, Roberto Guidetti(Telepadova), o Cristina Catarinicchia(Tele Nordest), Beppe Iafisco(Bassano Tv) e Martino Montagna(Televeneto). Viene da dire che se gli editori fossero stati all’altezza dei giornalisti e dei tecnici…

“Si anche se gli editori delle tivù locali in un certo senso si sono scoraggiati in quanto nessun attore politico negli anni 80 ha dato credito al mondo dell’emittenza. Gli editori delle tivù sono stati lasciati soli. E molti, ma molti politici proprio dentro a quelle piccole scatole televisive che erano le nostre emittenti hanno trovato la loro fortuna, hanno trovato il patrimonio di consensi che gli ha dato un biglietto per il futuro”

Io ti considero il miglior direttore di tg che abbia avuto perché, oltre a saper condurre il telegiornale, il che non guasta, sapevi coniugare più di chiunque altro il criterio della cronaca locale con uno spiccato gusto del televisivo, nel montaggio dei servizi, nella scelta delle immagini. Hai anche trasportato nei tg cittadini la “copertina di chiusura”che si usava fare nella Domenica Sportiva, idea che ha avuto seguaci entusiasti soprattutto in me, nell’operatore Lucio Zanato e nei montatori Roberto Paris e Fabrizio Bazzoni. Oggi, nel 2005, sarebbe ripetibile un’esperienza del genere?

“Sicuramente. Credo che oggi, più di ieri, si potrebbe confezionare un prodotto di qualità. Rispetto ad allora c’è l’esperienza in più e ci sono anche mezzi tecnici di gran lunga migliori e c’è, almeno da parte mia, la voglia di rimettermi in gioco. Penso che sarebbe davvero una bella avventura. “

Perché decidesti di passare alla carta stampata(immagino la risposta ma voglio vedere se ho ragione) e rifaresti quella scelta(penso di no)?

“E’stata una scelta obbligata. Volevo diventare professionista e con quell’Ordine dei giornalisti che non capiva il nostro lavoro non sarei mai potuto diventarlo. Mi è passato davanti un bus che non potuto non prendere. Tornassi indietro lo lascerei passare…..”

Mi ricordo che il tuo vice era Tino Giacomin, grande appassionato nel racconto delle storie locali(in questo un grande maestro) che però ti criticava per la tua visione del telegiornale, a suo avviso troppo istituzionale. Avendolo poi avuto come direttore, lo ritengo ancora di più un ottimo…cronista; come dire che poteva portare l’idea dell’abito, ma era un pessimo sarto(e quante scalette di tg gli ho salvato io a un’ora dalla messa in onda…) e per il gusto della polemica talvolta distruggeva rapporti consolidati (ne so qualcosa con Antennacinema, cui tenevo molto). Io poi ho vissuto qualcosa del genere con Adriano Mazzalovo che, nominato direttore forse solo perché io avevo 24 anni, si rese conto sulla sua pelle che non era poi così semplice organizzare un tg come mi vedeva fare con una certa semplicità, forse perché qualcosa da te avevo imparato. Tutto questo discorso per dire: non è un caso se esistono dei ruoli, e nelle strutture semplici, è importante che siano attribuiti alle persone giuste. Condividi?

“Ognuno di noi ha delle caratteristiche particolari ed è tagliato per un ruolo. Io non so se sono stato un bravo direttore, so che ho cercato di ricoprire nel migliore dei modi quel ruolo. Se oggi dovessi ripetere l’esperienza sono convinto che sarei sicuramente più aperto al confronto, cosa che forse non ho fatto completamente in quegli anni. Con Tino, ad esempio, collaborerei di più….”

Io penso che intorno a te, soprattutto negli anni della televisione, ci fosse molta invidia; se in quegli anni ti puoi rimproverare un difetto, a parte il peccato veniale del narcisismo dal quale credo nessuno di noi televisivi o ex tali sia immune, quale difetto ti attribuisci?

“Di essermi trovato in un posto bellissimo ma di non rendermene conto. Ero lì ma pensavo che sarebbe stata un’esperienza passeggera…. Credevo molto in quello che facevo ma mi consideravo in “scadenza”. E questo sempre grazie all’Ordine dei giornalisti che con i suoi atteggiamenti ci portava al convincimento che saremmo stati a vita dei precari in questo settore”

In questi ultimi anni, oltre alle vicende politiche locali, hai seguito anche argomenti molto più piacevoli, la gastronomia e il tennis. Quest’ultimo lo conosco da sempre come tua grande passione. Ma parlami invece del tuo avvicinamento alla gastronomia.

“La tavola è un ottimo collante per le relazioni, per gli amori e per i confronti. Ho scoperto che stare seduto a lungo in un posto piacevole in compagnia di amici e amiche mi rilassava e assaggiare i piatti e i prodotti della nostra terra era una cosa molto piacevole. Mi è stata affidata una rubrica sul giornale e sono poi diventato anche autore della guida Espresso. In due anni ho girato circa 200 ristoranti e alla fine ne ho fatto un libro: L’inviato a tavola” 

Tennis: si intravede qualcosa all’orizzonte, per gli italiani, dopo tanto buio?

“Speriamo di tornare in A, poi qualcosa succederà”

Rimpianti a parte, che cosa guarda il Domenico Basso telespettatore e che cosa gli piace?

“Mi piacciono le buone letture e guardare quello che producono le tivù locali. E più guardo quello che offrono le emittenti, più mi dico che c’è molto da fare…”

Un bilancio della tua vita, arrivato a questo punto.

“Alti e bassi. Ma mi accompagna l’ottimismo che mi induce a credere che ci sarà un futuro con molti alti. Non sono ancora arrivato al punto di mutuare Gassman che diceva: vorrei un’altra vita per vedere se alcune cose mi verrebbero meglio. Credo che alcune cose buone potrò farle anche in questa vita”

Vorrei chiederti ora un ricordo di un personaggio che entrambi abbiamo conosciuto e stimato, e che ci manca molto: Giorgio Lago.

“Un grande professionista e un uomo pieno di stile. E’stato il giornalista che ha reinventato la sua terra, che ha saputo leggere i grandi cambiamenti del Nordest. L’avevo incontrato pochi mesi prima che ci lasciasse. Se ne stava andando ma riusciva a trasmettere una grande serenità”

Per concludere, ora fammi tu una domanda: non dovrebbe essere difficile, per un ottimo giornalista.

“Più che una domanda è una curiosità. Vorrei sapere come ti immagini e dove ti immagini tra dieci anni….”

Sempre un giornalista “parlato”, non so se radiofonico o televisivo; certamente caporedattore, un posto nel quale a questo punto mi vedo bene, ma non tra dieci anni, già adesso. Io rispetto a te ho avuto la fortuna di poter diventare giornalista professionista rimanendo nel mio ambito preferito, quello appunto "parlato", anche per aver vissuto da vicino quel "cambio di coscienza" dell'Ordine dei Giornalisti, con l'arrivo nel consiglio veneto di colleghi più giovani e più consapevoli di questa realtà, come Amadori, Agostini, Baccarin, Beppe Gioia. Comunque, lo avrai capito, tra dieci anni mi vedo sempre ed inevitabilmente appassionato del lavoro e della diretta. Come te, credo, che spero di rivedere presto su uno schermo televisivo. Intanto ti ringrazio per avere risposto con diplomazia ma anche con estrema sincerità alle mie domande, forse anche un po' insidiose, dal momento che per noi l'esperienza nella tv locale è stata davvero professionalmente formativa.

 

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