INTERVISTA NUMERO 15:

PAOLO PERRONE

Lo ammetto, non amo molto il cinema, ma mi piace chi lo sa raccontare in modo efficace e fuori dal coro. E raccontare il cinema alla radio, un mezzo che si sente soltanto, è un lavoro speciale. I miei preferiti in questo ambito sono due, entrambi miei amici e il caso vuole siano entrambi di Torino: Baba Richerme, notissima specialista di settore del Giornale Radio Rai che ho già intervistato, e il meno conosciuto ma altrettanto bravo Paolo Perrone. Dedito principalmente alla carta stampata, approdò a Radio 101 per merito di un nostro collega di allora, Massimo Tadorni. Io e Paolo iniziammo un vero e proprio sodalizio professionale; come conduttore di turno gli accettavo tutti i pezzi, anche quelli teoricamente meno radiofonici. Sapevo che lui li avrebbe resi interessanti e godibili. Oggi fa ancora radio, e tra l'altro lavora sempre con Tadorni a GRP, l'emittente più importante di Torino. Doveroso parlare con Paolo di cinema, di radio, e di altro ancora.

 

Paolo, tu più che un critico cinematografico sei un cultore del cinema, uno che giudica ma anche consiglia, che dà indicazioni su cose da vedere, di cui magari il mercato e la grande critica si curano poco. Ma tra mercato e grande critica secondo te c’è un asse, magari anche inconsapevole?

Tendenzialmente il mercato (quindi l’industria, quindi il pubblico) e i gusti specifici della critica (quindi il cinema d’autore) sono ancora due mondi a parte, separati in casa. Però non sono rari quei film che fanno da cerniera tra questi due mondi. Per esempio, forse il più alto esempio, è rappresentato da Star Wars, saga di enorme successo popolare ma amatissima da quasi tutta la critica internazionale, non solo quella dei quotidiani, ma anche quella dei cinefili duri e puri… Ma anche altri prodotti, come Le invasioni barbariche, per restare agli ultimi anni, hanno suscitato l’applauso dei critici e degli spettatori (molti) in sala.

 

Che cosa significa, secondo te, il fatto che Costantino e Daniele facciano un film? Siamo alla frutta?

Guarda, scandalizzarsi sarebbe l’atteggiamento sbagliato. Non sono i primi e certo non saranno gli ultimi “prodotti da esportazione televisiva” che sbarcheranno sul grande schermo. Però l’equazione “successo in tivù uguale successo al cinema” è stata clamorosamente smentita già da molti anni (pensa a Grillo, ai flop di Cercasi Gesù e Topo Galileo, girati nell’82 e nell’87, quando la sua stella era al massimo fulgore). In ogni caso, basta andare a vedere gli incassi di Troppo belli (che fantasia nel titolo…) per farsene una ragione.

 

Il cinema italiano non è stato per un periodo estremamente lungo, troppo intellettualoide, cercando di essere morettiano, ma prendendo in realtà solo i difetti di Nanni Moretti?

Mah, al di là della sua lampante coloritura politica (che si può amare o odiare, come è giusto che sia) il cinema di Moretti resta comunque un unicum nello stantio panorama italiano contemporaneo. Certo, da noi si gioca a fare gli intellettuali, ci si ostina (anche da esordienti: ma non sarebbe meglio cominciare con un profilo più basso?) a fare cinema d’autore (vedi Provincia meccanica, tanto per citare un titolo recente). Il nostro cinema resta “prigioniero” della commedia all’italiana (da un lato) e dal Neorealismo (dall’altro). Solo che i Monicelli, Germi, Comencini, anche Risi (dal primo lato) e Rossellini, De Sica, Visconti, Antonioni (dal secondo) non hanno trovato eredi. Almeno non nella misura auspicata…

 

Che cosa secondo te viene sopravvalutato nel cinema americano, che cosa in quello italiano viene sopravvalutato e sottovalutato?

Il cinema americano resta uno straordinario cinema di genere (il poliziesco, l’horror, la commedia sofisticata, ecc.), che ovviamente ha dei limiti ma possiede una intelaiatura e una confezione che noi (ma tutta l’Europa e tutto il mondo) ci sogniamo. Per quanto riguarda l’Italia, ti confermo quanto detto poco sopra, cioè che, ed è un’esperienza diretta, quando parli con registi o attori stranieri, per loro il cinema italiano è ancora quello di Fellini, Visconti, Rossellini, Antonioni. Cioè quello di trenta-quaranta anni fa. Non so se mi spiego…

 

Benigni: il successo gli ha preso la mano, secondo te?

Devo confessarti che il Pinocchio non mi è proprio piaciuto e ho rimpianto Manfredi, la Lollo, Ciccio e Franco. Lì forse sì, si è fatto prendere la mano. Però adesso siamo tutti in attesa del suo La tigre e la neve, vedremo se è riuscito a superare il flop e le manie di grandezza. Incrociamo le dita.

 

Cinema-trash: il riflusso lo ha rivalutato. Senso di colpa dei critici politicizzati di allora, o era giusto recuperarlo? O magari la verità sta nel mezzo?

L’ultima che hai detto. Nulla di più. Intendiamoci, c’è del pionierismo, sicuramente, a lavorare con pochi mezzi, attori di serie B e sceneggiature inesistenti. E poi non vorrei allargare ancora di più, con affermazioni troppo elitarie e snobistiche, il solco che separa il pubblico dalla critica. Però non appartengo alla categoria dei revisionisti a tutti i costi. Non credo, cioè, che il valore oggettivo di un film vada accantonato in nome di correnti più o meno modaiole.

 

Devo confessarti che, pur amando il cinema intelligente – non quello intellettuale però -, ho sempre adorato i film scacciapensieri di Bud Spencer e Terence Hill(nei quali non muore nessuno) e il Monnezza versione Thomas Milian doppiato da Ferruccio Amendola. Che cosa pensi del ripescaggio di quest’ultimo personaggio?

Anche qui, a costo di ripetermi: c’era un archetipo, che volente o nolente ha funzionato e lasciato un segno. Perché riesumarlo dai ricordi piacevoli di venti-trent’anni fa? Però, per onestà, gioco fino in fondo il mio ruolo di critico snob altezzoso: il seguito con Amendola junior non sono nemmeno andato a vederlo…

 

Qual è la tua opinione su programmi come Stracult o comunque sulla cifra stilistica di Marco Giusti?

Non mi riconosco fino in fondo in quella vena, né cinematografica “alvarovitaliana”,  né in quella critica “marcogiustesca”. Però mi sono sorpreso diverse sere a restare incollato in tivù davanti alle immagini di Stacult, mentre pensavo che pochi minuti di trasmissione sarebbero stati sufficienti a farmi cambiare canale. Oddio, che ho detto?!?…

 

Il doppiaggio: tu che cosa ne pensi, onestamente? Dimenticati che sono amico di Teo Bellia e di Claudio Sorrentino…

Non lo dimentico affatto, ricordo bene i tuoi “amori” professionali… Sincerità per sincerità: a forza di andare ai Festival e di vedere film in lingua originale (attenzione, non soltanto americani, bella forza… ma anche coreani, norvegesi, africani) mi sono ormai affezionato alle vere pronunce di attori e attrici. Strano? Può darsi, però quando sento un film doppiato in italiano mi viene un po’ di malinconoia e mi dimentico che abbiamo, in Italia, i migliori doppiatori al mondo. Ed è la pura verità.

 

Malinconoia, Masini docet... Passiamo ai tuoi attori e ai tuoi registi preferiti.

Non posso. Davvero. Intanto perché dovrei scriverti un libro. Anzi due, uno per i registi e uno per gli attori. Ma poi perché, veramente, cambio amori con un “dongiovannismo” che non ha eguali. Oggi potrei dirti Wong Kar-wai (chi era costui? Eccolo lì, il critico segaiolo…), domani rimangiarmi tutto e dirti Bergman (eh, la preistoria…). Ebbene sì, sono uno sciupafemmine a 24 fotogrammi al secondo… Però se proprio devo farti un nome, fra i registi, ti dico Stanley Kubrick. Il massimo. Il vero, unico “occhio” del cinema.

 

Noi in radio ci siamo spesso divertiti a dare indicazioni cinematografiche controcorrente, nonostante lavorassimo per una radio commerciale: questo però conferma la mia tesi, e cioè che se la radio è fatta bene, si possono lanciare anche messaggi non facili. Che ne pensi?

Sono d’accordo. Anche lavorando in una struttura che ha come target un pubblico allargato, non per questo non si possono fare scelte personali, cominciare ad esempio a far circolare nomi nuovi di nuovi registi, che di lì a poco magari diventeranno emergenti, portare qualche contributo in più, con molta semplicità, alla formazione critica collettiva (mamma mia che paroloni, taglia, Davide, taglia…).

 

Ma non ci penso nemmeno, a tagliare...non stiamo mica facendo la radio, vero... Cambiamo ambito, però. Tu lavori a Torino: com’è questa città dal punto di vista della cronaca quotidiana?

Torino vive una fase difficilissima della sua pur gloriosa storia. L’informazione, in città, è poco articolata, La Stampa ormai è un giornale macroregionale, per il resto la Rai galleggia. Le radio sono uno strumento importante, che andrebbe valorizzato. Secondo me sta già succedendo e succederà sempre più in futuro. Il territorio, anziché un limite, può essere una risorsa da sfruttare.

 

Che cosa significa essere insieme giornalista e padre di famiglia?

Domanda personale, ma a cui rispondo volentieri. Non è sempre facile, però si cerca di fare meglio che si può in due mestieri così diversi. Mestieri, sì, entrambi. Ed entrambi affascinanti.

 

Lavori meglio alla radio o sulla carta stampata?

Io sono e resto un giornalista di carta stampata. Però sto subendo da anni ormai il fascino dell’etere. Mi piace la radio, sì, mi piace sempre di più… E se una radio è libera, ma libera veramente, piace ancor di più perché libera la mente. Finardi? Finardi!

 

Seconda citazione musicale; mi preoccupi, Paolo... Adesso, come faccio spesso in questo angolo, ti chiedo di farmi tu una domanda. Quella che vuoi.

Ribalto la prospettiva, indosso la veste infuocata dell’avvocato del diavolo e parto all’attacco. Si dice a volte che l’informazione radiofonica per sua natura (tempi ristretti ai pochi secondi in onda) è fisiologicamente superficiale. Mi dimostri in poche righe che non è così?

Poche righe, da sintesi radiofonica? Ok, accetto la sfida: a Rds (giornali da tre minuti) riuscii a fare una bella inchiesta sul rogo della Fenice; nei giorni della morte di Giovanni Paolo Secondo molte
emittenti hanno rivoluzionato la loro programmazione e dato grandi prove di
giornalismo radiofonico, entrando davvero nella notizia. Se è informazione
superficiale questa...

 

Grazie davvero a Paolo Perrone, che lavora in una città che ha sempre avuto grandi giornalisti di vari settori, da Carlo Casalegno, a Lorenzo Mondo, agli sportivi Casalbore, Ormezzano, Dardanello, Barletti, Beccantini e per parlare dei più contemporanei, Nesti. Paolo: ti ho accostato a nomi importanti. Credimi: non stoni assolutamente!

 

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